Il tempo non esiste. E' un illusione. Esiste solo nella sua versione "istituzionale", quella che ci costringe a diventare vecchi, quella che fa cambiare i calendari. Per il resto, non è che un rumore di sottofondo. Niente cambia mai davvero; per lo meno, non in brevi periodi ed è bello riconoscere le cose, ritrovare sempre il proprio posto e starci comodi, con l'incastro giusto; avere la sensazione di non essersi mai allontanati e sentirsi di nuovo protetti. E ritrovare discussioni frivole ed altre surreali, ricominciare a passare le serate confrontandosi per cercare di stabilire quale sia il modo migliore di scrivere un romanzo e quale la lunghezza minima, parlare di politica e di psicologia, usare quelle parole preziose e desuete che tanto mi sono care senza il timore che non mi si comprenda... Questo è quello che mi è mancato, disperatamente mancato, nei mesi passati a Torino. Questo è quello che rende bello l'essere qui.
Sono una grafomane impenitente: se sono felice scrivo, se sono arrabbiata scrivo, se sono triste scrivo.
Scrivo perché mi viene naturale. Scrivo perché per me è più facile che parlare. Scrivo perché non sono capace di confidarmi altrimenti. Scrivo per passare il tempo. Scrivo per documentare i momenti salienti. Scrivo quando mi annoio. Scrivo quando sono piena di entusiasmo. Scrivo come forma di auto-analisi. Scrivo per lanciare messaggi in bottiglia, che - chissà! - potrebbero spiaggiarsi su rive sorprendenti.
Di professione sono una penna mercenaria: mi presto a creare per denaro qualunque tipo di testo su qualsiasi argomento. Ma il sogno è, un giorno, riuscire a scrivere per lavoro solo di ciò che voglio e che m'interessa.
Nel frattempo, quando ne sento la necessità, scarico un po' di zavorra cognitiva ed emotiva nella mia stanzetta viola virtuale, lo spazio più intimo e, allo stesso tempo, quello più pubblico che ho.
Perché metto i miei pensieri in piazza? Perché, per paradosso, comunicare con il mondo è meno imbarazzante che farlo a tu per tu.
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