Ti immagino, a volte. Un tavolo pieno di carte, di libri ammonticchiati, di penne nere e di matite corte; e tu chino che leggi, scrivi, scarabocchi. E sempre così: con la tapparella abbassata e una luce giallastra, malata. Solo. In una stanza sottratta al tempo. In una solitudine che non ti appartiene. Ti vedo, a volte. Proiettato sul nero delle palpebre chiuse. Sei un criceto in gabbia e non ti hanno concesso neppure la ruota. Il tuo sguardo impercettibilmente convergente e all'ingiù si addice perfettamente a questa senilità prematura che ti è stata imposta. Eppure, le tue pupille, nere punte di spillo, graffiano il reale e ne raccolgono quanto più è possibile. Mi appari così: rassegnato, ma senza disperazione. Coraggioso, come l'eroe che sa di doversi sacrificare e continua a sperare che non sia necessario. Ti immagino, a volte.
Listening to:
Roba di Amilcare - Paolo Conte
Etichette: Immaginazione, Personale
5 Comments:
Papà?
No, niente affatto.
Hemingway?
(Non lo so, mi si è focalizzata questa immagine!)
No, non hai indovinato neppure tu.
Ok, allora non continuo... ;)
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