Ieri sera sono andata al cinema. Ho visto "Michael Clayton", esordio alla regia di Tony Gilroy (già sceneggiatore de "L'avvocato del diavolo"), presentato il mese scorso a Venezia. Mentirei se dicessi che è un film senza difetti, ma l'ho apprezzato molto ugualmente. Non importa quanto in certi momenti la regia sia oleografica, né sono determinanti alcune sfilacciature qua e là nella sceneggiatura; "Micheal Clayton" è un bel film perché spinge tutti noi a riflettere su cosa sia l'etica professionale e fino a che punto questa possa essere sacrificata in nome del denaro, un problema che oggi è di grande attualità ma che è assai poco dibattuto. E il titolo, che potrebbe sembrare banale, è azzeccatissimo, perché il film è tutto nel suo protagonista, tra l'altro interpretato molto bene da un George Clooney sempre più attore e sempre meno Dottor Ross: sfatto e amaro quanto basta.
Lo consiglio a tutti coloro i quali si trovano per ragioni lavorative a dover fare cose che non li rendono affatto orgogliosi.
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Santa María (del Buen Ayre) – Gotan Project
Etichette: Cinema, George Clooney, Michael Clayton, Tony Gilroy
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