domenica, settembre 17, 2017

Guardo vecchi film in bianco e nero. E leggo Steve Erickson. Ascolto incisioni de Lo Zoo di Vetro di oltre mezzo secolo fa. E non dormo. E, se dormo, dormo un sonno senza sogni o popolato da figure del mio passato remoto con le quali credevo di aver ormai chiuso tutti i conti. In entrambi i casi, è un sonno senza requie.

È un tempo tenacemente immobile. Nonostante il trascorrere delle ore e dei giorni, nulla procede, tutto si ripete con snervante monotonia. Il divenire pare cristallizzato in attesa di risposte, impossibili perché le domande sono quelle sbagliate. No, non è questo! Le domande sono semplicemente inadeguate, perché troppo timide. Provo a indovinare cosa ci sia al fondo del burrone, restando a 100 metri dal precipizio. Cosa spero di intuire da qui? Ho paura di sanguinare, temo di aprire brecce che non potranno mai rimarginarsi e rimango a metà strada. La posizione peggiore che si possa mantenere. L'unico antidoto che ho, il solo che conosca, è guardare le ferite di chi, prima di me, ha esposto la propria carne pulsante agli occhi del mondo, sperando di apprendere qualcosa per assimilazione. Ma ogni volta a galleggiare in superficie non sono le risposte, bensì ulteriori quesiti.

Mi sento più vicina a personaggi mai conosciuti - più commossa dai loro drammi, più partecipe delle loro sofferenze, più affine alla loro visione e alle loro caratteristiche - di quanto non mi senta attirata dall'umanità che incontro ogni giorno. Mi chiedo se sia un segno di totale mancanza di compassione oppure se sia una testimonianza di suprema empatia, questo essere capaci di soffrire retrospettivamente, sentire il bisogno di proteggere quello che non solo è già rotto, ma addirittura già decomposto. 

Riesco a perdonare il passato e sono spietata con il presente, attanagliata da una cecità rabbiosa che impedisce qualsiasi distanza e lucidità di giudizio. Non capisco se sia bene o male questa perseveranza ferma e disperata. Se sia la nobile difesa di qualcosa da custodire o un arroccamento stolido e cocciuto. Gli altri e la vita stessa hanno un peso per lo meno pari al nostro nel forgiare ciò che siamo, perché la mitologia che ci circonda e l'essenza che custodiamo ci rappresentano entrambe fedelmente, sebbene su piani diversi. Io lo so, lo so con una certezza desolante, eppure non riesco ad arrendermi.

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