giovedì, agosto 13, 2020

Esplorando

Questa strana estate senza vacanze è, tuttavia, un'estate di viaggio. L'estate di una personale spedizione alla ricerca delle mie Montagne della Luna. Sarò il saccente Burton? O l'arrogante Speke? Resterò testardamente irremovibile e pervicacemente ego-centrica? Avrò il coraggio di lasciare emergere tratti che preferisco fingere di non sospettare nemmeno? Tornerò scornata e sconfitta, decisa a liquidare tutto come una montatura? Tornerò vincente, ma delusa? Tornerò io? O tornerà qualcuno che ha il mio stesso aspetto, ma che non è affatto la stessa Maria che è partita? Sarà un'impresa? O un fallimento?

Da un po' di tempo a questa parte mi sembra di avere solo domande e nessuna risposta, nessuna certezza. Sono la versione sperimentale di me stessa, precaria e in fieri, che tutto è pronta a mettere in dubbio e tutto è pronta a riconsiderare. E mentre sento il suolo traballante, mi pare che il mio sguardo si sia fatto più acuto. Via via che verità di comodo e bugie pietose e postulati figli della paura svelano la propria natura, mi pare di riuscire a vedere venire a galla cose su di me e sugli altri rispetto alle quali la cecità dei miei occhi era totale. Non così, tuttavia, quella dell'anima, che le stesse cose le conosceva - o per lo meno le intuiva - e cercava di portarle in superficie manifestandole come vaghi fastidi, inspiegabili ansie, inopportuni scatti d'ira, indecifrabili gioie, intempestive lacrime, apparentemente immotivati timori. E, se da un lato mi sento posseduta da una sorta di furia iconoclasta, desiderosa di abbattere e di distruggere e di cancellare, dall'altro ho un bisogno e un desiderio di sacro che si fanno sempre più brucianti. Ho necessità di una nuova teogonia e nuovi altari, santi nuovi e nuovi valori. Di un tempo diverso in cui poter guardare i germogli e aspettare prima di decidere cosa tagliare, senza rigidi precetti. Un tempo che accetti anche l'ortica o la gramigna, senza tenere l'erbicida sempre a portata di mano.


Listening to: 

Epilogue - Ryuichi Sakamoto

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martedì, agosto 11, 2020

Apostasia

Che genere di dio sei, che non distingui offerte e offese?

Che genere di dio sei, che, purché provenga da me, tutto consideri con indifferenza o sdegno?

Che genere di dio sei, che hai leggi contraddittorie e non imparziali?

Che genere di dio sei, che ad alcuni chiedi l'impossibile e perdoni ad altri di non aver fatto nemmeno l'indispensabile?

Che genere di dio sei, che tra la tua progenie hai distribuito patenti di divinità e di mortalità con implausibile arbitrio?

Che genere di dio sei, che hai chiesto il sacrificio della mia adolescenza?

Che genere di dio sei, che impassibile l'hai guardata dissanguarsi come fosse una visione qualunque?

Che genere di dio sei, che hai scritto le tue promesse nell'acqua di un fiume impetuoso?

Che genere di dio sei, che ancora e ancora mi hai illusa e poi tradita?

Che genere di dio sei, che per tutti hai comprensione e per tutti hai un perdono, meno che per me?

Che genere di dio sei, che distribuisci premi e colpe, sia quelli che queste immeritati?

Che genere di dio sei, che sei misericordioso con gli uni e implacabile con gli altri?

Che genere di dio sei, che a tutti profetizzi il bene e per me intravedi solo un presente e un destino infelici?

 

Io ti rinnego.  

E rinnego ogni mitezza, ogni accondiscendenza con nelle viscere il dolore di chi sa che l'abiura è tardiva e non serve a recuperare quello che è perduto.

Fuori dalla tua nazione, lontano dalla tua legge, sono sottratta al mio peccato originale (che, in verità, non è nemmeno mio). E, pur dolente e in ritardo, sono finalmente libera di scegliere da sola l'unità di misura con cui soppesarmi.

 

Listening to:

Song to the siren - Tim Buckley

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domenica, agosto 09, 2020

E ora che sempre più vedo quello che è, quello che sei, mi sento molto meno piccola, meno indifesa. Vedo l'ipocrisia e la cattiveria sotto la vernice della mitezza e dell'equità. E sono consapevole del disprezzo. Lo sento nettamente, mentre mi viene vomitato addosso in modo subdolo e insinuante. Ma sentirlo per quello che è, non come un mio senso di colpa da espiare, gli toglie il potere di dilaniarmi. Lo sento sempre più come una percezione neutra e sempre meno come un dolore. Non è più una ferita inferta, è un dato da registrare. E parla di te, non di me. Di ogni stilettata io sono solo il bersaglio, non la causa. 

Adesso lo vedo, adesso lo so. 


Listening to:

Geraldine - Glasvegas

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