domenica, agosto 31, 2008

Crisi d'identità

Credevamo di essere interi. L'io, anima e corpo, un tutt'uno indivisibile. Cartesio ci insegnò che ci sbagliavamo, che siamo due domini differenti ed autonomi. E poi ci dissero che siamo ancora più compositi: che il nostro corpo è un agglomerato di atomi, i quali a loro volta sono composti da altre particelle e che la nostra psiche è addirittura tripartita. Ma io, pur convinta della bontà di ciascuna di queste tesi e ben guardandomi dal confutarle, non riesco ad avvertire questa separazione, questo iato tra il mio pensiero e l'insieme di carne ed ossa che se ne va in giro a rappresentarmi.
Sento una naturale continuità tra la mia estensione spaziale e il mio rimuginare, trovo che siano necessari l'uno all'altro, che si influenzino. Per questo temo che il cambiamento dell'uno si manifesti anche nell'altro dominio e ritengo che il mio Io non sia solo il prodotto del precario equilibrio raggiunto tra le forze contrarie dell' Es e del Super-io.
Eppure, a volte, quando mi sorprendo a fare certi pensieri non posso che concludere che vi sia una separazione, o meglio una forza disgregatrice, una spinta centrifuga che polverizza tutto e rende tutto irriconoscibile e opinabile. Io non sono io. Sono agita e non agente di me stessa e mi viene perfino da chiedermi se in fin dei conti esista davvero una me stessa. Ed è sconsolante doversi rispondere che forse no, non esiste. Che la nostra identità è solo un'idea che in un mondo infinitamente incerto ci illude di avere un'unica rassicurante certezza. E proprio perché ho bisogno di questa certezza, per timore alla fine non varco la soglia e non porto il ragionamento alle sue estreme conseguenze, rubricandolo come un'elucubrazione inutile, uno stupido vaneggiamento, e mi rintano di nuovo nel cantuccio tiepido e morbido di questa improbabile convinzione.


Listening to:
Gli impermeabili - Paolo Conte

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venerdì, agosto 29, 2008

Dimenticare

E' strano che la mia memoria sembri così labile. Che non mi ricordi fatti e parole, ma che riesca a dire esattamente com'ero vestita in un determinato momento. Morissi adesso quello che mi scorrerebbe davanti sarebbe soltanto una specie di lunghissimo defilé: una ventina di collezioni autunno-inverno e altrettante primavera-estate. So cosa indossavo ogni primo giorno di scuola e qual era il mio abbigliamento per ogni esame all'università. E ne ho dati una cinquantina. Quindi non è la mia memoria a non funzionare: dev'essere un qualche meccanismo di rimozione. Chissà perché poi.
A volte ci sono ricordi che mi ritornano in sogno, ma i miei sogni sono solitamente tanto incredibili che è difficile dire se si tratti davvero di memorie o se non siano piuttosto delle semplici paramnesie. Anzi, sono quasi certa che metà delle cose che ricordo non siano andate affatto come penso io.
Probabilmente la ragione di tutto questo è che nei momenti memorabili della mia vita mi sono sempre sentita estranea e distaccata, quasi assente, come se non fosse la mia volontà a decidere, come se recitassi un copione invisibile. E nove volte su dieci ho agito esattamente al contrario di quello che avrei voluto. Ho detto di sì quando pensavo no e viceversa. Se mi si chiedessero le ragioni di decine di cose che ho fatto non saprei davvero cosa rispondere. O forse sì. La mia vita è stata mossa quasi completamente dal senso di colpa. Un senso di colpa preventivo peraltro. Ecco, forse è stata più la paura della colpa. Il pensiero che avrei deluso qualcuno.
Ho sempre avuto questo stupido complesso del dover essere perfetta, del non dover dare problemi, del non dover essere come le altre. E nel tempo ho iniziato a non dire le cose, non lasciare mai trapelare niente, non svelarmi. Perché io non potevo e non dovevo. Perché mi si voleva eterea ed algida, al di sopra di tante questioni. E mi sono sempre sentita inadeguata, perché so fin troppo bene di essere lontanissima da quest'immagine e ancor di più dalla perfezione. Ecco, forse è questo quello che tento di rimuovere e di dimenticare.


Listening to:
Masterfade - Andrew Bird


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mercoledì, agosto 27, 2008

Annusa!

Un acquazzone tremendo s'è portato via l'afa. E' assurdo come a Milazzo succeda sempre così. Sempre nello stesso periodo. Non piove per mesi, ma poi tra fine agosto ed inizio settembre sembra che ci debba per forza essere almeno un temporale. E vento, tanto vento.
Dio solo sa quanto mi piace l'odore di terra bagnata. E quanto mi piace il vento. Mi piace quello spiffero che passa sotto le porte e che raffredda i piedi. Mi piace la tenda che si gonfia. Mi piace l'odore rugginoso degli ombrelli. Mi piace il pensiero della gente rintanata in casa e di quelli dietro le finestre a guardare.

I momenti più belli della mia vita sono stati in giornate piovose.

Listening to:
The model - Belle & Sebastian

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venerdì, agosto 22, 2008

Polaroid americane

Sarà colpa del jet lag, non so, ma ultimamente sono un po' confusa. Eppure sono tornata da quasi una settimana.
Dagli Stati Uniti mi sono portata un sacco di cose materiali e non. Dal Texas un raccapricciante vestito stampato di maglina comprato per disperazione e stringente necessità. E l'umidità più appiccicosa che si possa immaginare. Le emozioni della prima volta in vita mia in cui sono andata a cavallo e l'odore del pancake caldo con il ciuffetto di burro che si scioglie in cima. Il punch, i waffle e i fiori di bouganville. New York, poi, è stata una rivelazione anche se il caffè americano è una brodaglia disgustosa. La 5th Avenue è una lunghissima vetrina sul mondo: ci trovi qualunque cosa, qualunque negozio si possa immaginare. La Statua della Libertà ha lo stesso profilo di Paul Newman e non me ne ero mai accorta fino a quando non l'ho vista con i miei occhi. Il ponte di Brooklyn è pieno di cavi sospesi, come se l'avesse costruito Spiderman spruzzando le sue ragnatele. Al World Trade Centre c'è ancora la voragine dove una volta sorgevano le due torri: un immenso buco quadrato e spaventoso, attorniato da costruzioni altissime su tutti e quattro i lati. E mi sono resa conto che quel giorno di settembre deve davvero esserci stata una scena simile all'Apocalisse: fuoco e polvere e macerie e cadaveri. Fino a quando lo si vede in televisione non se ne ha piena consapevolezza.
Brodway e Times Square sono un turbinio di luci e di colori e cartelloni giganteschi. Non sai dove guardare prima e quando vedi la manona che regge l'insegna del museo delle cere pensi che sia il massimo, poi giri un po' lo sguardo e accanto c'è l'Odditorium, un posto che se avessi avuto 15 anni in meno avrei creduto essere la porta del Paese dei balocchi, o del Paradiso. Poi in una palazzina scalcinata c'è il teatro del Late Show with David Letterman, dove negli ultimi quindici anni è passato chiunque conti nel mondo dello spettacolo. Central Park è immenso e affascinante e sembra fuori dal tempo...
Ci vorrebbero ore ed ore per scrivere di ogni cosa che mi è rimasta nel cuore e impressa al fondo della retina: la caserma dei pompieri che è stata il quartier generale dei Ghostbusters, Tiffany con le vetrine in cui si specchiava Audrey Hepburn all'inizio del film, il Grand Central Terminal in cui si conclude Carlito's Way e, soprattutto, la casa dei Tenenbaum...sì, ho toccato il cancello sul quale Richie si arrampicava per rientrare a casa dopo il tentato suicidio!

E poi sappiate che ho comprato Armchair Apocrypha e Andrew Bird & The Misterious Production of Eggs per nutrire ancora di più la mia ossessione per il polistrumentista e cantautore di Chicago. Ormai mi ci vuole un esorcista...

Listening to:
Tables and chairs - Andrew Bird


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