"[...]beau comme la rétractilité des serres des oiseaux rapaces; ou encore, comme l'incertitude des mouvements musculaires dans les plaies des parties molles de la région cervicale postérieure; [...] et surtout, comme la rencontre fortuite sur une table de dissection d'une machine à coudre et d'un parapluie!"
(Lautréamont, Canti di Maldoror, VI)
La verità è una: sono sempre stata un'esteta, fin da bambina, quando spinta da un'ardore incomprensibile tentavo di convincere i miei genitori a comprare un determinato tavolino o una tale lampada e mettevo il broncio se ne prendevano, invece, degli altri. E poi gioivo se, a distanza di anni, mia madre spolverando si soffermava a guardare i loro acquisti e mi diceva che avevo ragione, erano più belli quelli che piacevano a me.
Ma c'è anche un amaro rovescio della medaglia. Per me la bellezza è compulsiva, come per André Breton, e, in virtù di ciò, le mie valutazioni morali si arrestano davanti ad essa. Ne sono talmente soggiogata da ritenere che il bello non possa essere etichettato come giusto o sbagliato, che sia una categoria "pura", non contaminata da altre. Che sia solo bello e basta e che meriti una sospensione del giudizio e della parola. Il bello, per me, è in una certa misura (non trascurabile, invero) sottratto alla legge e, certamente, è ineffabile. Lo si può descrivere solo con le più ardite similitudini. E credo che quando lo si incontra non si possa fare altro che abbandonarsi. E che quando si allontana lasci una piaga che difficilmente smette di suppurare.
Listening to:
Spare-Ohs - Andrew Bird
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